Con l’imminente entrata in vigore del Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati, a fine Gennaio Facebook ha annunciato che pubblicherà nuovi principi sulla privacy e video esplicativi per aiutare i propri utenti ad avere pieno controllo delle proprie informazioni.
Tale scelta è motivata più dallo spettro di possibili sanzioni previste dal Regolamento Europeo che dalla volontà di garantirsi la fiducia dei propri utenti. E d’altronde, come confermano recenti sondaggi, gli utenti Europei non sembrano preoccuparsi troppo del possibile riutilizzo dei propri dati. Anzi si deve forse proprio all’utilizzo delle piattaforme social come FB la diffusione di una percezione limitata del diritto alla privacy e del diritto alla protezione dei dati personali. Sembra infatti che agli utenti interessi soprattutto avere un controllo su quali informazioni condividere con gli altri utenti, mentre interessi molto meno che i propri dati, una volta anonimizzati, possano contribuire alla realizzazione di enormi patrimoni conoscitivi da cui sono esclusi.
La privacy per l’utente medio è quindi percepita come uno strumento per decidere come apparire sul web e definire la propria identità digitale. Manca invece una istanza sociale per l’affermazione di una equa partecipazione ai patrimoni conoscitivi creati anche grazie al proprio contributo, rappresentato dall’inserimento di informazioni e lo svolgimento di attività sulle piattaforme.
Il prevalere della dimensione della identità rispetto al problema di ingiustizia economica e sociale ricalca un pattern che caratterizza più generalmente tutta la politica contemporanea post-socialista, che abbraccia le lotte per il riconoscimento e si disinteressa della dimensione economico-sociale dell’ingiustizia.
1. Il problema della cd. data justice e i limiti delle regole sul trattamento dei dati.
Si deve a Nathan Newman il merito di aver posto al centro del dibattito politico il tema della cd. Data Justice. Newman, direttore dell’omonima organizzazione, sin da un report del 2015 avverte che le attuali regole sul trattamento dei dati personali non possono colmare ogni rischio di ingiustizia in una economia come quella attuale, in cui banche-dati di enorme valore economico e il know-how per analizzarle sono in mano a pochi player sulla scena globale.
E’ sicuramente vero che il diritto alla privacy ha avuto un enorme sviluppo negli ultimi anni. Da tutela della propria sfera privata dall’altrui curiosità, tale diritto si è evoluto nel diritto di controllare le informazioni in uscita dalla sfera privata verso l’esterno. Il controllo delle informazioni che ci riguardano ci consente in sostanza di mantenere relazioni sociali e la nostra libertà personale. Tuttavia, sebbene in tale diritto fondamentale coesistano diversi aspetti, le regole sul trattamento dei dati non rispondono ad una logica di giustizia distributiva. Inoltre tali regole coprono solamente le ipotesi di trattamento e riutilizzo di dati personali, e non il trattamento e riutilizzo di dati anonimi o anonimizzati.
In una economia basata sull’analisi di grandi quantità di dati, sono evidenti i rischi di una egemonia conoscitiva in capo a quei pochi attori economici che hanno capacità finanziarie per la raccolta dei dati e il know-how necessario per analizzare i dati sino a trasformarli in informazioni aventi valore economico. Tale egemonia informativa ed economica si traduce nel pericolo di una società della sorveglianza, di rafforzamento dei monopoli, nella possibilità di profilare i consumatori e imporre condizioni commerciali svantaggiose, sino ai rischi di violare gli stessi principi democratici.
2. Politiche identitarie Contemporanee e istanza di Giustizia Distributiva nella Economia basata sui Dati.
Si deve alle opere di Nancy Fraser il merito di una lucida critica alle politiche post-socialiste contemporanee, responsabili di aver optato per la promozione di politiche dell’identità e distolto l’attenzione dalla dimensione economica dell’ingiustizia. Secondo Fraser esistono due forme di ingiustizia, la prima di carattere socio-economico e la seconda di carattere culturale. Mal-distribuzione e mis-riconoscimento secondo Fraser sono due aspetti distinti di ingiustizia, ma entrambi rilevanti. Vi è pertanto ancora bisogno di politiche redistributive.
Se applichiamo il discorso della Fraser alle dinamiche di una economia della conoscenza, e dando per presupposto che i dati e i patrimoni di Big Data sono (non solo fonte di conoscenza ma altresì) beni economici, le attuali regole sul trattamento dei dati sono insufficienti a garantire il diritto fondamentale di eguaglianza, perché ignorano totalmente l’istanza di equa distribuzione della conoscenza tra i cittadini-utenti e inoltre perché riguardano solamente il trattamento dei dati personali e non quelli anonimi o successivamente anonimizzati.
3. Possibili teorie di giustizia sociale.
Il Manchester Centre for Development ha analizzato la letteratura in materia di data-justice e ha identificato tre possibili approcci o teorie di giustizia sociale applicabili ad una economia basata sui dati.
Secondo un primo approccio, che possiamo chiamare di giustizia procedurale, per garantire giustizia è necessario e sufficiente il rispetto di regole procedurali nella raccolta, trattamento e riutilizzo equo dei dati. Ritroviamo questo approccio, ad esempio, nelle regole sul trattamento dei dati (come quelle del Regolamento Europeo), in particolare nei principi di privacy by design, nonché nelle regole sul consenso informato e nei diritti garantiti ai soggetti interessati. Queste regole però non possono risolvere la possibile diseguaglianza economica che deriva dal riutilizzo di dati anonimizzati.
Se invece ci si muove nell’ambito di un paradigma re-distributivo si dovrebbe prestare attenzione al fatto che ogni individuo contribuisce alla creazione di questi patrimoni informativi ed è giusto che venga equamente ricompensato in qualche modo. Il vero problema è capire come ricompensare il singolo utente del proprio contributo. A questo punto due sono le possibili prospettive: quella di una giustizia distributiva e quella di una giustizia strumentale.
4.Giustizia distributiva e politiche che incentivano l’innovazione.
Secondo un approccio di giustizia distributiva, si dovrebbe garantire un’equa distribuzione del bene rappresentato dai dati e dal valore informativo che da essi si può ricavare.
In un certo senso le regole sul trattamento dei dati influiscono sulla distribuzione dei dati in quanto i singoli individui possono decidere o meno di trasferire i propri dati prestando o meno il proprio consenso. Tuttavia pochissimi utenti sono disposti a rinunciare alla possibilità di avere una presenza online e accedere ai servizi gratuiti di fb e altre piattaforme. Inoltre il consenso al trattamento dei dati diviene una condizione necessaria per usufruire di tutta una serie di servizi di cui i cittadini non possono più fare a meno.
Ad ogni modo il paradigma di giustizia distributiva presenta certe difficoltà di applicazione. Infatti è evidente che tale istanza di eguaglianza deve bilanciarsi con le politiche e istituti giuridici che premiano e incentivano l’investimento in innovazione e in particolare gli istituti di proprietà intellettuale. Infatti nessuna azienda sarebbe incentivata a sviluppare e perfezionare la propria tecnologia per la raccolta e analisi dei BIG Data, se fosse riconosciuta una certa libertà di trarre un beneficio economico dai dati raccolti.
5.Giustizia Strumentale e politiche sugli open data.
Dato l’attuale scenario economico caratterizzato da pochi players in grado (per capacità finanziaria e know how) di monetizzare attraverso i patrimoni conoscitivi derivanti dai BIG Data e considerata la necessità di incentivare l’innovazione di tale settore in Europa, il paradigma di una giustizia strumentale è quello che meglio garantisce i diritti di eguaglianza dei cittadini. Per giustizia strumentale si intende la necessità che i BIG Data siano utilizzati per produrre un impatto positivo nella vita di tutti i cittadini. Questa prospettiva è quella fatta propria dalla Commissione Europea nella Comunicazione del 10 Gennaio 2017 dal titolo «Costruire un’economia dei dati europea». In sostanza si focalizza l’attenzione sul risultato e impatto finali, più che sull’equa ripartizione del bene-dati.
A tale Comunicazione è seguita nel settembre del 2017 una proposta di Regolamento sulla libera circolazione di dati non personali. Tra le questioni giuridiche da chiarire, per la realizzazione di una florida economia europea basata sui dati, oltre alla portabilità e interoperabilità, la Commissione cita l’“accesso” e la “responsabilità”. La Commissione pertanto riconosce l’importanza di un trattamento dei dati responsabile, anche quando non concerne dati personali, e di redistribuire il valore derivante dai dati tra le piccole medie imprese e i cittadini. Si prevede una cooperazione tra pubblico e privato, e il finanziamento della ricerca nel settore Big Data, volto a migliorare le politiche pubbliche. Se quindi il valore dei Big Data si trasforma in crescita economica ed efficienza delle politiche pubbliche, per la Commissione si raggiungono obiettivi di giustizia per tutti i cittadini europei.
Allo stesso tempo nella strategia della Commissione è altresì presente la prospettiva di una giustizia distributiva, laddove si prevede che soprattutto i dati raccolti dalle pubbliche amministrazioni e successivamente analizzati grazie al contributo di aziende private, devono essere posti a disposizione di tutte le aziende private e cittadini attraverso efficaci politiche di open access.
Conclusione.
Sinora l’approccio legislativo volto a risolvere problemi di ingiustizia nel settore dell’information technology è stato frammentario, basato su interventi correttivi, e quindi svolto in assenza di presupposti teorici o principi di giustizia generali. Tale pragmatismo è giustificabile se si considera che con l’evoluzione tecnologica si configurano gradualmente nuovi scenari economici e dinamiche contrattuali. Non si può certo disciplinare ciò che ancora non si conosce. E d’altro canto si deve evitare che errate scelte regolatorie possano frenare l’innovazione e crescita nel settore.
In assenza di una chiara comprensione dei meccanismi economici e tecnologici che regolano la catena di valore dei dati è sicuramente prematuro, ad esempio, regolare il tema della titolarità dei dataset e le regole sul riutilizzo dei dati anonimi. Cionondimeno la Carta Europea dei Diritti Fondamentali riconosce il diritto di eguaglianza dei cittadini europei e giustifica un approccio basato sui diritti nelle scelte politiche che incidono sullo sviluppo economico. Una dottrina di teorie di giustizia sociale dovrebbe servire da presupposto per le scelte normative del futuro.
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Autore: Maria Luisa Manis
Data di Pubblicazione: 13/02/2018
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